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Il mito del campus

di Attilio Scuderi

Recensione di The World According to Garp di John Irving tratta da Bollettino d'Ateneo n. 3, 2003


John Irving, The World According to Garp, E. F. Dutton, New York 1978 (tr. it. Bompiani, Milano 1982)

Negli Stati Uniti e nel Regno Unito quello del Campus Novel è un genere (o meglio un sottogenere) della forma romanzesca attivo e presente in particolare dagli anni ’50 del novecento. Il romanzo di ambientazione universitaria, infatti, annovera tra le sue fila autori di prima qualità, come Bellow, Malamud e Nabokov negli States o Bradbury e Lodge, tra gli altri, in area anglosassone. Ad ondate, secondo le spinte e le esigenze inquiete e voraci di un sistema universitario attento a sé, alle mutazioni ed agli umori di un “mercato del sapere” in continua trasformazione, rinasce anche la discussione su questo sottogenere romanzesco. Così, non è forse un caso che una delle ultime sessioni della Modern Language Association (sezione del Midwest) si sia riunita lo scorso febbraio per discutere storia e trasformazioni di questo filone narrativo, sondare le recenti acquisizioni del genere, i nuovi autori, i temi e le ansie ricorrenti che il “set universitario” veicola. Ed è questo, crediamo, uno dei primi elementi che a tale tipologia narrativa può essere ascritto, tanto nella sua versione moderna quanto nelle recenti riscritture; ovvero la sua natura di testo tendenzialmente ansiogeno e asfissiante, unita e potenziata da una ambientazione centripeta – il campus come “ombelico del mondo” – che risente non poco della crisi dello spazio narrativo canonico - la città - nella narrativa soprattutto americana degli ultimi anni.

Così, se il campus è il sostituto effimero, la metafora ed il prelievo di un ambiente urbano divorato dallo sprawling e dallo spappolamento dello spazio pubblico subito dalla metropoli americana, dall’altro il suo protagonista – il professore – è spesso il simbolo della condizione alienata dell’intellettuale nella consumer society. Con una precisazione, utile a noi europei (ed ancor più agli “europei italiani”): i personaggi-professori del romanzo universitario americano sono spesso docenti-scrittori, ovvero ad un tempo professori di letteratura – e quindi sdoppiamenti, diffrazioni autobiografiche degli stessi autori – e/o docenti di creative writing . Una condizione, questa dello scrittore “integrato” a vario titolo nell’università (si pensi a Nabokov o Lodge), distante dalle abitudini culturali di un sistema universitario quale il nostro, molto più interessato alla canonizzazione letteraria del passato che al commercio col presente; un commercio che, quando avviene, ha sempre il tono della celebrazione accademica, della lectio magistralis, della decantazione in vita dell’autore e molto poco della discussione viva, nel presente e del presente della letteratura, come sistema e come mercato, con le sue colpe, i suoi meriti ed i suoi inganni. Ed è forse anche per questo che da noi sono pochi o recenti - di rado “interni” - i casi di romanzo universitario, salvo non voler considerare tale (e non sarebbe una suggestiva provocazione?) un testo come Il nome della rosa di Umberto Eco, con le sue gelosie incrociate, i vari “furti di titoli” e le tensioni concentrazionarie di un sistema chiuso su se stesso. Ma torniamo oltreoceano. Dicevamo proprio della tensione centripeta e claustrofobica di molti Campus Novel (non è forse un caso che alcuni degli autori di questi testi, come Malamud, vantino radici ebraiche). L’ambientazione universitaria non genera e non stimola però solamente romanzi costruiti intorno al mito della cittadella del sapere; essa attraversa anche – e qui vorremmo soffermarci brevemente – testi narrativi e filmici agendovi come potente reagente dell’intreccio e dell’azione. 

È il caso di un romanzo come Il mondo secondo Garp (1978) di John Irving, storia picaresca della vita di T.S. Garp, uno stralunato e parodico romanzo storico che pare canzonare nella sua poderosa macchina narrativa – oltre 500 pagine – tutti i generi e sottogeneri, alti e di consumo, della letteratura americana; e tra di essi anche il campus novel. Se l’autore predilige la narrazione umoristica – si veda Hotel New Hampshire (1981) – e la costruzione di ambienti chiusi – come ne Le regole della casa del sidro (1985) recentemente portato sugli schermi – in Il mondo secondo Garp l’università ed il suo mondo – il suo “sottobosco” stavamo per dire – vi acquistano un ruolo significativo. Garp è uno scrittore e vive con Helen, docente universitaria, seguendola nei suoi spostamenti tra campus più e meno titolati della provincia americana. Il romanzo diviene così il racconto – surrealmente autobiografico – del rapporto tra scrittore e sistema universitario nell’America degli anni ’70, quegli anni posti tra contestazione e riflusso nel privato in cui si agitano come ombre gli attori di una cultura che aveva prodotto grandi innovazioni nel decennio precedente (si pensi a Susan Sontag ed alla etichetta dissacratoria di Camp usata per circoscrivere le nuove tensioni conoscitive “postmoderne”; oppure al movimento femminista). Garp, con la sua sfibrata incoerenza e la sua visionaria purezza, finirà vittima – metafora avvelenata – dell’istinto omicida di una fanatica seguace del movimento radicale femminista delle Ellen-Jamesiane. Un rapporto dunque critico, di conflitto e di scontro, quello ritratto dal Campus Novel americano. Una liaison complessa che traspare da una delle migliori (e non sono molte) pellicole americane degli ultimi anni; alludiamo a Wonder Boys (2000) di Curtis Hanson, tratto dall’omonimo romanzo di Michael Chabon, storia del romanziere in eterna crisi Grady Tripp - un ottimo Michael Douglas sullo schermo – e del suo confino nella università della provincia americana.

Fin qui la letteratura, il cinema. Oggi però il mito del campus vive prevalentemente di un’altra scrittura e di un altro schermo. E’ infatti la televisione a veicolare potentemente il mito del campus con prodotti seriali di consumo ( Charmed e Buffy, the Vampire Slayer sono alcuni dei titoli) di eccezionale successo negli States ed oggi anche in Europa (in Italia, seguendo un copione consolidato, Mediaset ha per prima acquisito i diritti di alcuni di questi Series, subito seguita dalla Rai). In questi telefilm la struttura è pesantemente manichea. Il campus universitario è il luogo di uno scontro tra forze del bene e agenti del male (streghe, demoni e vampiri) in cui tornano – come zombies – paure che credevamo superate (una acuta sessuofobia, per esempio) ed il mito del campus si svela per ciò che è, nell’America di oggi: il veicolo di una serrata campagna pubblicitaria che pone lo studente al centro di spinte educative verso un sistema selvaggiamente concorrenziale. Lo studente dunque come “consumatore” e futuro cittadino del sistema statunitense. Non abbiamo lo spazio (ma ci vorrebbe) per una lettura dei miti e delle paure che questa narrativa popolare veicola. E sarebbe il caso di discuterne, anche da noi, dove l’università non è forse più un mito, un luogo di riferimento simbolico, eppure rischia di scivolare nello status di provincia di un campus – quello americano – che non è più quello degli anni ’60. Per valutare il rischio basta poco. Accendere lo schermo, in prima serata, e guardare una di queste serie. “Come se” avessimo sedici anni.

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