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Il concorso maledetto

di Luciano Granozzi

Recensione di Le Fauteil hanté di Gaston Leroux tratta da Bollettino d'Ateneo n. 3, 2003


Gaston Leroux, Le Fauteil hanté, Paris 1909 (tr. it. La poltrona maledetta, Sellerio, Palermo 1998)

Un concorso universitario non se lo fabbrica il candidato tutto da solo. Si tratta di una regola elementare del fair play accademico, di un assioma inviolabile all'interno di un sistema fondato sulla cooptazione. A meno di non rischiare la vita, aggiungerebbe Gaston Leroux. 

Le Fauteil hanté, comparso in feuilleton nel 1909 sul mensile Je sais tout (dove era stato preceduto da Arsenio Lupin), è la perfetta messa in scena di un concorso al più alto livello che si possa immaginare e ci pone una domanda davvero inquietante: si può arrivare ad uccidere nell'Accademia?

L'Acadèmie française, fondata nel 1635 col compito di vegliare sulle sorti della lingua francese, è composta da quaranta membri inamovibili eletti dai loro pari. Per quasi quattro secoli essa ha raccolto scrittori e poeti, filosofi e scienziati, uomini di Stato e di Chiesa che avessero particolarmente illustrato la lingua francese con le loro opere. Un consesso così variegato doveva offrire una fedele immagine del talento, dell'intelligenza, della cultura, dell'immaginazione letteraria e scientifica che hanno fondato il genio della Francia nel mondo. L’elezione all'Acadèmie française, contrassegnata dall'onore di indossare il celebre mantello verde nel corso delle solenni sedute sotto la Coupole, è tuttora considerata come una consacrazione suprema del lavoro intellettuale. Sul sigillo donato dal fondatore Richelieu è inciso il motto "all'immortalità". Così, pur non godendo di una longevità superiore alla media, i suoi membri si fregiano del titolo di "Immortali".

Ma nel momento in cui Leroux colloca l'avvio del suo breve romanzo l'Académie è scossa da un'umiliazione senza precedenti: i Quaranta rischiano di essere condannati a rimanere soltanto trentanove perché nessuno vuole più candidarsi alla poltrona rimasta vacante per il decesso di Mgr d'Abbeville. Ben tre aspiranti sono morti in circostanze enigmatiche appena prima di potersi insediare. Il primo beneficiario di un'immortalità così fragile, il capitano di vascello Maxime d'Aulnay, autore del Voyage autour de ma cabine, è rimasto folgorato proprio mentre stava pronunciando la sua prolusione. A poche settimane di distanza la stessa sorte è toccata a Jean Mortimar, il poeta dei Parfums tragiques, e a Martin Latouche, dotto compilatore di una monumentale storia della musica in cinque volumi, entrambi incuranti dell'inequivocabile avvertimento di una lettera anonima.

L'ambizione intellettuale, si sa, può essere smisurata; ma non al punto di sfidare una maledizione così micidiale. Ormai sembrerebbe impossibile trovare nuovi candidati se non si presentasse un assoluto outsider, Jules-Louis-Gaspard Lalouette, mercante di quadri e di anticaglie, autore di un modesto saggio sull'arte dell'incorniciatura. E' lui l'eroe che si incaricherà di sfatare la maledizione, chiarire il mistero e vendicare così l'Immortalità sbeffeggiata. Il coraggioso, o incosciente, Lalouette verrà dunque eletto accademico all'unanimità nonostante un piccolo dettaglio. Lalouette non sa né leggere né scrivere; quel libro lui non l'ha scritto, l'ha dettato!

Autore di ben trentaquattro romanzi - tra cui Il mistero della camera gialla, avvio della saga del detective Rouletabille, cugino di Tintin, e Il fantasma dell'Opera, oggetto di numerosi adattamenti musicali e cinematografici - Gaston Leroux è un grande rinnovatore della tradizione francese del romanzo popolare; un genere moribondo che egli travasa nel romanzo poliziesco con grandissima abilità nell'imbrogliare il lettore per stupirlo meglio, gusto del paradosso e toni da farsa fantastica alla Méliès. Così nella Poltrona maledetta si incontrano un vegliardo malefico, uno scienziato pazzo, un mago inquietante, un laboratorio sotterraneo, un gigante, alcuni temibili molossi, "un lungo lacerante grido umano" che, se atterrisce i timorosi accademici, li mette tuttavia sulla pista del "più grande crimine del mondo".

Ci sono quindi almeno due modi di leggere questo piccolo classico. Il primo è quello di godersi il virtuosismo della messa in scena, il gusto della battuta, la consumata abilità di Leroux nell'inserire al momento giusto i suoi coup de théâtre. Si pensi che, alcuni anni dopo la pubblicazione di Le Fauteil hanté, il nostro si cimenterà come produttore-sceneggiatore-narratore del cinema muto. Un film di quattro o cinque ore veniva proposto nelle sale cinematografiche a puntate di una trentina di minuti ciascuna, mentre lo sceneggiatore pubblicava su un grande giornale quotidiano il romanzo del film nel quale si raccontava con maggiore profusione di dettagli la medesima storia.

Un altro modo, molto più ingenuo, è quello di abbandonarsi all'umorismo scapigliato, al sapore deliziosamente perfido più che farsesco, col quale l'intero ambiente accademico viene passato in rassegna con particolare attenzione verso i personaggi minori. Una delle pagine più divertenti è quella del discorso che "l'uomo che non sa leggere", neoeletto accademico di Francia e "fiero come un generale romano in trionfo", riesce a tenere salutato dalle ovazioni del pubblico accorso per la grande occasione: "...essendogli stata concessa la parola, iniziò a pronunciare l'elogio con calma, girando le pagine, col gomito piegato, proprio come se stesse leggendo. Tutta la sua buona memoria era là, ed era così buona, ma così buona, che lui declamava il suo discorso pensando a tutt'altro". La dignità della funzione accademica andava comunque salvaguardata (almeno nella Francia del tempo), sicché l'imbarazzante segreto di Lalouette non verrà tradito. Toccherà al segretario perpetuo dell'accademia di occuparsi di lui insegnandogli l'alfabeto con grande riservatezza: "...mio caro Gaspard, non è poi così difficile da imparare: B A: BA, B E: BE, B I: BI, B O: BO, B U: BU!".

Si ride di cuore per l'incredibile trovata. Sereni per l'assoluta inverosimiglianza di un analfabeta promosso ai ranghi più alti dell'accademia. O no?

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