Religiosità e perfezione nella serie “Odio il Natale”

Marta Bertuna, laureata in Comunicazione della cultura e dello spettacolo e tirocinante di "Scena Erasmus", ci racconta i risvolti dissacranti di festività, famiglie e aspettative sociali a partire dalla serie targata Netflix

Marta Anna Bertuna

Odio il Natale, nuova serie distribuita da Netflix, tratta una storia umana non detta, ma da tutti vissuta.

Gianna è una trentenne come tante, che vive ironicamente il disagio dell’essere single a Natale, nel 2022. Ma ciò che è più interessante è che non è la protagonista a provare malessere ma la famiglia per lei. Per questo, incarnando il ruolo della "brava figlia", cerca in tutti i modi di trovare un fidanzato per le feste e far felice soprattutto la mamma un po’ esigente.

Inizia così una ricerca isterica e a tratti tragicomica di possibili candidati, in un ritmo narrativo fresco e colorito. Ma per una ragione o per un’altra tutti si rivelano inadeguati. Si palesano per lo più uomini di varia natura che cercano di plasmarla secondo i propri desideri. 

Ad accrescere la convinzione che il «Natale ce l’abbia con lei», è l’entourage che la circonda: una madre all’antica che teme l’eterna zitellagine della figlia ormai prossima alla scadenza, la sorella sposata ma incapace di ribellarsi al marito assente e irresponsabile, la migliore amica presunta liberale che interpreta l’indipendenza come rifiuto di vere relazioni, concedendosene solo di occasionali.

Più che del 2022, dunque, Odio il Natale sembra un quadro vivace degli Anni '50, dove l’unico segno di modernità è rappresentato dai siti di incontri virtuali e dall’ebbrezza che ne deriva, nell’illusione della mezz’ora di evasione da se stessi, per poi sgretolarsi nel completo vuoto emotivo. 

Un ritratto veritiero, cavernicolo dell’Italia del giorno d’oggi che intristisce ma non stupisce ed è prova di come il progresso sia sulla bocca di tutti, ma nell’azione concreta di nessuno. 

Il regista Davide Mardegan gioca volutamente sul contrasto di una Venezia splendente in pieno clima natalizio e un clima sociale cupo, che lascia l’amaro in bocca. Il quadro è chiaro e non sembra offrire margini di speranza per gli individui. Tutti sembrano sicuri e fieri nella loro mediocrità e nel loro bigottismo. A peggiorare il clima natalizio veneziano si abbatte anche una disgrazia: il bambinello del presepe è misteriosamente scomparso.

Lo scopo di questa piacevole serie natalizia sembrerebbe inizialmente rappresentare la cultura machista e retrograda resistente in uomini e, anche, donne del secolo corrente con una chiave umoristica sottilissima ed efficace. 

L’attrice protagonista Pilar Fogliatti, che non eccelle certo per profondità e trasformismo sulla scena, convince comunque per intelligenza e giusta dose di humor e malinconia, ed è una bella rivelazione: con la sua interpretazione restituisce la reazione alla pressione sociale intorno a sé con semplicità e arguzia singolari, rendendosi (giustamente) simpatica allo spettatore. 

E la prima parte della serie, con un pieno di contrasti, sembra riuscire pienamente nell’intento.

Va riconosciuto che anche se la serie si fosse conclusa nello spirito di partenza, dipingendo un'eroina moderna che si destreggia con umiltà e forza in un circuito disfunzionale, il risultato sarebbe stato accettabile, anche se forse poco originale.

Eppure dal quarto episodio in poi la serie prende una piega inaspettata, che chiude con naturalezza un cerchio rimasto un po’ sospeso. Il presepe tanto caro alla famiglia di Gianna, simbolo di idillio e unità si frantuma: il quadro di irreprensibilità si disgrega e tutti si rivelano meravigliosamente imperfetti e parzialmente "insoddisfatti". 

Attraverso questa interessante metafora il regista lancia un’imbeccata di blasfemia innocente, che corrode la finzione, reindirizzando gli esseri umani ad un fisiologico peccato. Le luci della Serenissima non si erano mai spente, ma stavolta riaccolgono il Bambin Gesù che è finalmente tornato al suo posto.

Odio il Natale non è certo un capolavoro, nulla a che vedere con la qualità che Netflix ha recentemente prodotto su scala soprattutto internazionale. 

Pur nel minore prestigio, è la serie nella quale è più facile identificarsi, commuoversi, e da cui è bello sentirsi "rincuorati". 

Gianna è una di noi: un’adulta giovane, non più ventenne, ma di certo lontana dall’essere attempata, che vive una crisi riflesso di una società spesso gretta e un po’ egoista, più attenta al fronzolo, che all’umano. Vivere secondo aspettative sociali è fonte di un’infelicità evitabile che deriva da un confronto fittizio e di sola apparenza e Odio il Natale ce lo insegna benissimo.