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Grasso Cannizzo: «L'architettura è un'opera aperta»

di Dario Grasso, Marco Di Mauro, Salvo Noto e redazione web

La lectio doctoralis dell'architetto Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, pronunciata in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Ingegneria edile - Architettura




Anche l’architettura è un’opera aperta: non si arrocca su principi e strumenti propri della disciplina, ma sconfina in territori sconosciuti, per comprendere meglio la complessità e la rilevanza delle questioni legate alla trasformazione dell’esistente. In questa lectio doctoralis, pronunciata in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Ingegneria edile-Architettura da parte dell’Università di Catania, il 18 gennaio 2019, l'architetto di origine ragusana Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, ha evidenziato alcuni temi principali dei suoi lavori: “Architettura come opera aperta”, “Stratigrafia in movimento”, “Architettura e Ingegneria” e “Materiali da costruzione / Prolungare l'aspettativa di vita”.

Laurea in Architettura all’Università di Roma "La Sapienza" nel 1974, Grasso Cannizzo ha insegnato a Roma, Palermo e a Siracusa; nel 2010 è stata invitata dal Royal Institute of Technology di Stoccolma a partecipare come docente al Workshop Vittoria/Stoccolma - Intervento sul quartiere Forcone. I suoi progetti le hanno permesso di essere segnalata al Mies van der Rohe Award, ma anche di vincere per ben due volte il RIBA Awards/EU e il premio Medaglia d’Oro alla Carriera, privilegiando sempre, nelle sue realizzazioni tutte concentrate nella provincia iblea, la qualità rispetto alla quantità e la difesa dell’immagine del paesaggio, facendo dialogare il nuovo e l’antico e ricercando poi l’integrazione tra la dimensione umana e il contesto.

«L’architettura non si impone, ma sollecita la partecipazione e solo attraverso un esame approfondito, la capacità di ascolto, la persuasione ed il confronto, riesce a consegnare un’ opera condivisa, tenendo sempre a mente che il progetto è solo una possibile risposta in un preciso tempo e non la soluzione», riflette la progettista siciliana. «Il tempo del progetto, della sua esecuzione e del suo uso è punto di aggregazione di un insieme di persone per raggiungere uno specifico obiettivo: attorno ad un disegno o sulle impalcature si intrecciano riflessioni, scambi di opinioni, suggerimenti, ordini, si attribuiscono ruoli e mansioni, si prendono decisioni, si precisano le regole che governano e guidano l’intero processo».

E sul rapporto, spesso conflittuale, che deve invece sussistere tra le due discipline, quella ingegneristica e quella architettonica, Grasso Cannizzo esprime la sua più che netta convinzione: «L’impalcatura in costruzione non è la Torre di Babele, simbolo di incomprensioni e di rinunce, ma un organismo vivente che cresce accogliendo diversità, raccoglie saperi e competenze specifiche di altre discipline, richiede organizzazione e assunzione di responsabilità, utilizza secondo le circostanze lessico, morfologia e sintassi di lingue diverse. L’architettura non è la sommatoria di componenti a sé stanti ma un organismo unitario: nelle sequenze del processo di crescita si precisano e dispongono spazialmente elementi di diversa natura, si stabiliscono relazioni e dipendenze reciproche, dando forma contemporaneamente alla struttura ideale ed alla struttura resistente».

In altre parole, per l'architetto Grasso Cannizzo «l’organismo si forma attorno al proprio scheletro, non indossa in un secondo tempo il modello matematico destinato ad assorbire carichi e sollecitazioni.


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