Comunicazione e tolleranza: "Concerned Citizen"

Marta Bertuna, laureata in Comunicazione della Cultura e dello Spettacolo al Disum, a Valencia in un tirocinio post-laurea, ha seguito, come inviata del progetto Eunice, la 37.ma Mostra del cinema dei Mediterranei e ci racconta la pellicola di Idan Haguel sul tema della comunicazione e della tolleranza

Marta Anna Bertuna

Due pellicole hanno dominato il palmarès nel gala di chiusura della 37°edizione della Mostra del cinema dei Mediterranei. Insieme alla franco-iraniana Until Tomorrow di Ali Asgari – vincitrice della Palma D’Oro per migliore regia e attrice protagonista (Sadaf Asgari) – il film israeliano Concerned Citizen di Idan Haguel si aggiudica la Palma d’Argento e il premio per migliore sceneggiatura e migliore attore (Shlomi Bertonov).

Nella linea comune scelta dall’intera rassegna cinematografica rispetto all’importanza della ‘Storia e delle lotte per la conquista di diritti e libertà’, come chiave di lettura del presente, "Concerned Citizen" fa argutamente luce sulla questione della tolleranza e dei grandi ostacoli che ancor oggi si incontrano per la sua affermazione nella società.

Ben è un architetto urbanista gay dalle vedute progressiste e cerca di contribuire al miglioramento del quartiere periferico di Tel Aviv, piantando degli alberi nella sua strada. Un giorno vede dalla finestra due immigrati appoggiati ad uno dei fusti piantati e li invita a non farlo, per evitare che il sottile tronco si spezzi.

Non riuscendo nel suo intento si rivolge alla vigilanza affinché possa intervenire pacificamente. Tuttavia questo gesto apparentemente banale, mosso da puro senso civico, ha conseguenze drammatiche inaspettate: una delle due persone coinvolte viene pestata dal pubblico ufficiale e uccisa. L’osservazione del fatto sconvolge il protagonista e lo getta in una sorta di paralisi emotiva, che si ripercuoterà sulla sua vita privata e relazionale, facendo crollare certezze e priorità.

"Concerned Citizen" è un’opera dallo sviluppo narrativo sì logico-lineare, ma altrettanto singolare nell’ideazione del soggetto. Più questioni vengono messe in campo: l’eguale interesse e dedizione riposti nel perseguimento di un progetto privato-relazionale e professionale-sociale; la difficoltà a contenere la propria aspirazione idealistica nel momento in cui si scontra con realtà di abusi di potere.

La scena della terapia di coppia con il compagno Raz, in cui Ben confessa finalmente la ragione della mancanza di dialogo e di intesa sessuale, è rappresentativa di tutte le questioni appena descritte e la prova che esse si snodano attorno ad un unico nucleo centrale: quello dell’incapacità di ascolto che domina l’era contemporanea, provocando la separazione degli individui.

Nello specifico, la lacuna comunicativa si sviluppa su più fronti. In principio, Ben non riesce a trasmettere l’importanza che per lui assume l’albero (metafora di vita e di resurrezione) per una gratificazione tanto privata quanto sociale nel momento in cui avanza ai due immigrati una richiesta di allontanamento formale che viene, a sua volta, non capita tanto da spingere alla reiterazione del comportamento. In un secondo tempo, il pubblico ufficiale abusa del proprio potere, scegliendo la violenza come arma sostituiva al dialogo, non conoscendone altra.

Idan Haguel opta per il rifiuto di spettacolarità e sensazionalismo a favore di rigore e pregnanza. In 82’ minuti di pellicola non ci sono giochi di prestigio, scene d’azione esaltanti, sonorità travolgenti, ma piuttosto un susseguirsi di situazioni che possiedono in sé massima eloquenza.

Tutto è piatto ma al contempo tagliente, in una dimensione in cui solo i colori e le musiche del gay-pride sembrano accendere vita e entusiasmo, per poi spegnersi nella crudeltà e nel sopruso. I volti – quello attonito di Ben nell’assistere al pestaggio o quello sconcertato di Raz dinanzi al compagno che lo accusa di non condividere i suoi stessi valori – sono sintomatici di un’isteria sociale perla quale gli esseri umani vengono colpiti dagli eventi, si abituano a subirne gli effetti, invece di razionalizzarne le cause.

Le lunghe pause introdotte dal regista hanno proprio lo scopo di chiarire la diseducazione sentimentale dei personaggi, sospesi in ciò che non possono decifrare e a cui non sanno opporsi. Una fotografia, sfumata e indistinta è lo specchio della confusione mentale rispetto a cosa è meglio fare, che solo una presa di posizione forte da parte del protagonista e l’assunzione dei rischi che essa comporta può risolvere.

In questo caos psico-cognitivo, la figura del terapeuta è cruciale per riuscire a riavvolgere i nodi della matassa, ricostruendo eventi e successive reazioni, consentendo a Ben di fare pace con la propria coscienza. L’uomo ha agito nel bene, schiacciato da un sistema ingiusto che non ne ha riconosciuto per due volte le nobili intenzioni: la prima, nella riqualificazione del quartiere, la seconda nel tentativo di affermare pacificamente il suo solido senso civico. Solo con l’incarcerazione del gendarme assassino l’ordine può essere ricostituito.

La scena di chiusura, con la ritrovata alchimia sessuale tra i due uomini, è la prova di quanto comprensione e ascolto reciproco siano l’unico strumento attraverso il quale è possibile concorrere al bene.